CARLOTTA FERRARI

Carlotta Ferrari
(Lodi 1831-Bologna 1907)

Nota biografica da Wikipedia

Carlotta Ferrari nacque a Lodi (e venne perciò spesso ricordata come Carlotta Ferrari da Lodi, nome che lei stessa adottò a firma delle sue opere) il 27 gennaio 1830 da Luigi, insegnante elementare, e Anna Morosini. Studiò canto e pianoforte al Conservatorio di Milano, diplomandosi nel 1850. Si dedicò all’insegnamento e studiò ancora composizione con il maestro Alberto Mazzuccato esordendo a Milano il 25 luglio 1857 con il dramma lirico Ugo che ottenne un buon successo di pubblico e di critica, anche straniera. Si trasferì a Torino con la madre e la sorella minore per insegnarvi canto e pianoforte. Nel 1866 fece rappresentare a Lodi il dramma lirico Sofia, ancora una volta apprezzato da ricevere da Parigi la proposta di musicare un vaudeville: rifiutò, adducendo motivi di incompatibilità tra il suo stile musicale e il carattere licenzioso del varietà. Il 19 gennaio 1868 fu eseguita una sua Messa nella Cattedrale di Lodi, nuovamente con grande successo. Arrivarono così commissioni pubbliche: il Municipio di Torino l’incaricò di comporre un Inno alla deputazione romana, eseguito a Torino il 12 ottobre 1870 per celebrare l’annessione della città di Roma al Regno d’Italia, e dal governo ricevette l’incarico di comporre una Messa da requiem in commemorazione di Carlo Alberto, eseguita a Torino il 22 luglio 1871, mentre a Cagliari veniva rappresentato il suo dramma lirico Eleonora d’Arborea. Il successo ottenuto dalla sua attività di compositrice le valsero l’assegnazione dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro e dell’Ordine al Merito civile di Savoia, che le garantirono due rendite modeste ma necessarie alla Ferrari che non trasse mai molti vantaggi economici dalle sue opere (anche perché le capitò spesso di opporre rifiuti ad offerte anche interessanti) e condusse una vita piuttosto modesta, dedita all’insegnamento privato della musica nella città di Bologna, ove si trasferì con la madre nell’estate del 1875 con la speranza, sostanzialmente vana, di trovarvi migliori condizioni lavorative. La sua attività compositiva, e in particolare la Messa da requiem, fu comunque apprezzata nel capoluogo emiliano e le valse la nomina a socia onoraria della prestigiosa Accademia filarmonica. La sua notorietà (fu anche poetessa di qualche pregio) però decadde presto, così che, ormai dimenticata, morì dopo lunga malattia nella città emiliana il 22 novembre 1907

 

 

 

Completiamo la succinta biografia della Ferrari con il saggio musicologico di Marco Emilio Camera, musicologo, bibliotecario del Conservatorio di Como e Direttore dell’Accademia di musica e danza Gaffurio di Lodi.

Carlotta Ferrari poetessa e musicista

“È ormai acquisito dalla moderna musicologia che la presenza delle figure femminili all’interno della storia della musica è stata più consistente di quanto si sia creduto sino a pochi decenni fa. È indubbio, tuttavia, che se si escludono le esecutrici e soprattutto le cantanti, l’arte musicale è stata prerogativa quasi unicamente maschile, in modo ancor più evidente di quanto sia avvenuto in qualsiasi altra disciplina.

Molte donne all’interno delle corti rinascimentali, né solo capricciose primedonne che hanno arricchito tanta letteratura fiorita accanto all’ambiente melodrammatico. Numerose, infatti, hanno lasciato impronte significative e personali anche come compositrici, dedicandosi prevalentemente alle composizioni cameristiche di modeste dimensioni. Pochissime tuttavia, riuscirono ad imporsi nel campo della musica per il teatro e ricorderemo, tra esse, Francesca Caccini e Antonia Bembo, attive rispettivamente nel XVII e XVIII secolo.

Carlotta Ferrari costituisce perciò un caso più unico che raro di autrice al tempo stesso della musica e dei libretti dei propri melodrammi: nell’Ottocento “l’esser l’autrice una donna e non della musica soltanto, ma anche del libretto” fu definito senz’altro dalla coeva Gazzetta Musicale di Milano una “circostanza straordinaria”. La compositrice lodigiana non solo creò, ma riuscì anche a rappresentare e replicare più volte i propri lavori, fatto certamente non così scontato nel mondo musicale ottocentesco se si considera l’enorme lavoro e spesa economica che comportava l’allestimento di un’opera lirica.
Nel tentativo di creare un primo elenco dell’opera musicale di Carlotta Ferrari siamo riusciti sino ad oggi a rintracciare notizie relative a tre melodrammi interamente composti e rappresentati, un quarto rimasto incompiuto, una Messa, un Requiem, alcuni inni e composizioni da camera per canto e pianoforte.
Si tratta dunque di una produzione che, per quanto limitata, tocca tutti i settori, dal sacro al profano, dal teatrale al salottiero. Proprio per questo l’attività di compositrice della Ferrari incuriosisce e a questo punto può meravigliare il lettore che giustamente potrebbe chiedersi quale fu il reale peso della sua attività artistica e per quale ragione quasi nulla delle sue opere abbia lasciato un segno nella storia, neppure a livello locale. Qual è stato, in definitiva, il valore di questa artista, che in tutte le pubblicazioni e nei manoscritti era solita firmarsi orgogliosamente “Carlotta Ferrari da Lodi” ma il cui nome oggi non è noto neppure ai suoi concittadini?
Certamente una certa inclinazione naturale per l’arte musicale era presente nella giovane Carlotta, come testimonia l’ammissione, addirittura per un posto gratuito, al Conservatorio di Milano, già allora selettivo (pochi anni prima non era stato accettato Verdi perché oltre i limiti di età): gli studi seguiti con Strepponi e Panzini prima e poi con Nava e Angeleri, sino a quelli di composizione con Mazzuccato sono la conferma di un iter di tutto rispetto. Non basta certo pensare alla tenace forza di volontà e al caratteri volitivo di Carlotta per comprendere come sia stato possibile per una giovane donna riuscire a rappresentare una sua opera, l’Ugo, nel 1857. Resta quindi ancora inspiegato come sia riuscita a superare le diffidenze di un mondo teatrale gestito da impresari certamente poco inclini a rischiare denaro per assecondare i “capricci” di una donna di una piccola città della campagna lombarda.
Non è facile oggi ricostruire le vicende legate alla sua attività artistica  poiché molti documenti non sono stati ancora rintracciati e le cronache del tempo solo parzialmente possono darci un verosimile resoconto di quale rilievo possa realmente aver avuto all’interno della storia del melodramma. All’epoca dell’Ugo, Carlotta Ferrari era appena conosciuta negli ambienti milanesi. L’editore Ricordi le aveva pubblicato un Salve Regina nel ’54 e una serie di sei melodie per canto e pianoforte nel ’56. Si tratta di lavori di non rilevante pregio artistico in cui tuttavia si evidenziano alcuni caratteri tipici dell’intera opera della compositrice, tra cui il gusto per il melodizzare lirico e per le tinte patetiche e la semplicità dell’accompagnamento.
Ugo – Aspetto caratterizzante dell’opera poetica e musicale della Ferrari è certamente la combinazione tra l’amore idealizzato, sentimento religioso e spirito patriottico: si tratta dunque della sfruttatissima miscela di ingredienti che negli anni intorno alla metà del secolo, in conseguenza dei moti rivoluzionari e delle guerre di indipendenza, imperversava nei testi letterari e musicali di numerosi melodrammi. L’Ugo si colloca certamente in questo filone romantico tipico, del resto, anche di parte della produzione verdiana di quegli anni, anch’essa con risultati peraltro discontinui.
E sono proprio i melodrammi verdiani che spopolano nei teatri italiani che hanno visto nascere capolavori quali Rigoletto, Trovatore e Traviata, opere ormai divenute “popolari” e che rendono difficile ad altri compositori emergere e rivaleggiare col cigno di Busseto.
Tutto sommato il successo ottenuto dalla rappresentazione milanese al Teatro Santa Radegonda dell’Ugo non fu di scarsa rilevanza, anzi si trattò di un vero trionfo, ma piuttosto effimero. Ciò fu dovuto in parte ai precedenti impegni assunti dalla compagnia dei cantanti (Vigliardi, Errani, Olivari e Santley), i quali in verità avevano ben interpretato l’opera e contribuito in modo significativo al suo successo. Le cronache dell’epoca segnalarono e commentarono con particolare interesse l’evento. Un giudizio autorevole fu espresso sulle colonne della Gazzetta Musicale di Milano, il più importante periodico italiano specializzato, edito da Tito Ricordi. La recensione dopo aver riferito dello straordinario successo  e dopo aver indicato le pagine più belle ed apprezzate in sala, coglie, ci pare molto obiettivamente, i tratti tipici dello stile della compositrice: “Non pochi brani dell’Ugo della Ferrari meritavano realmente il successo che ottennero… In generale la musica di quest’opera è assai migliore negli adagi, svolti quasi tutti con affetto e sapienza. Le cabalette, gli allegri sono di minor effetto….L’opera ha una certa unità d’intonazione senza che degeneri però in monotonia”. Se la validità dell’ispirazione lirica è fuori discussione, un appunto viene mosso alla strumentazione, con l’invito ad “approfondirsi vieppiù nella parte propriamente detta tecnica dell’arte, nello strumentale segnatamente, che accusa tuttora inesperienza”.                    Un’altra testimonianza interessante è quella di Charles Santley, che fu il baritono nella rappresentazione dell’Ugo e che rivela un particolare inedito: oltre che librettista e compositrice apprendiamo ora, direttamente dal racconto di un protagonista, che Carlotta Ferrari si cimentò anche nel ruolo di direttrice d’orchestra. In un suo volume di memorie pubblicato a Londra nel 1892, il cantante ricorda le prove che precedevano la prima: “Avrei preferito cantare un’opera già conosciuta, ma lo stato delle mie finanze non mi permetteva di rifiutare l’offerta. Ricordo poco del lavoro ma fui molto felice durante le prove poiché la compositrice, che dirigeva, e i miei colleghi, mi furono molto vicini (…) Ci furono alcune scene di grandissimo effetto, una in particolare, per tenore e baritono fu bissata ogni sera”.
All’Ugo, in definitiva, toccò la sorte di altri melodrammi dell’epoca di uscire dalle scene entro breve tempo, più per ragioni economiche e per incapacità di gestire sotto il profilo impresariale che per i limiti della partitura che poteva reggere decorosamente il confronto, se non con Verdi, almeno con gli altri compositori contemporanei.
SofiaLa successiva opera, Sofia, rappresentata per la prima volta al Sociale di Lodi nel 1866, convinse meno dell’Ugo ed anzi, dopo le repliche lodigiane, si presentò al Teatro Re di Milano; qui ottenne un successo di pubblico, a quanto pare preparato dalla claque, ma fu stroncata dalla critica. La stessa Gazzetta Musicale di Milano, che aveva spronato la Ferrari a proseguire nel terreno della composizione melodrammatica, ora, attraverso le parole del Ghislanzoni, uno dei più importanti critici ottocenteschi, non dedica neppure una riga di commento alla musica. Piuttosto che dissentire, preferisce tacere e ironicamente ne spiega la ragione: “Noi non vogliamo turbare tanta festa con delle censure le quali, trattandosi di una donna, sembrerebbero poco cavalleresche, e riferendosi ad una teatro come quello di Porta Ticinese, non sarebbero esenti da pericolo. Non son tre settimane che due spettatori, i quali si erano permessi di fischiare in codesto teatro, all’uscire vennero bastonati solennemente!”
È assai probabile, in effetti, che la Ferrari fosse riuscita a garantirsi una serie di appoggi e protezione importanti che le permettevano di presentarsi sulle scene con una certa sicurezza di riuscita. Tra i suo sostenitore quasi certamente va segnalato il conte Renato Borromeo, cui la Ferrari, definendolo “patrocinatore zelantissimo”, aveva dedicato le Sei melodie premettendovi sul frontespizio una dedica assolutamente spropositata anche per lo stile letterario pur ridondante dell’epoca ed inusuale per l’editoria ottocentesca.
Neppure una breve ripresa della Sofia a Torino valse a consolidare il precario successo ottenuto al Teatro Re, e anzi il misero fallimento economico dopo due sole sere decretò definitivamente la sepoltura dell’opera.
Eleonora d’Arborea Della terza opera, Eleonora d’Arborea, non possediamo documenti oltre a quelli riferiti all’indubbio successo ottenuto in Sardegna; per la consueta smania della Carlotta di presentarsi nei Teatri più prestigiosi rifiutando il certo per l’incerto, l’opera fu ben presto dimenticata.
Degno di interesse è invece segnalare la scrittura di due composizioni sacre: la Messa per la festività di San Bassiano a Lodi (anche in questa occasione l’esser donna non le aprì con facilità le porte della chiesa) e soprattutto un Requiem per l’anniversario della morte di Carlo Alberto, composto per Torino nel 1868. Nella produzione sacra, in effetti, la Ferrari finalmente svincolata dal dover porre in musica i suoi testi poetici, spesse volte privi di qualsiasi stimolo artistico, riesce con maggiore convinzione ad esprimere la vena lirica, sempre incline ad assecondare il suo sincero sentimento cristiano.                       Nella Messa da Requiem, in particolare, fervore religioso e drammaticità si fondono musicalmente dando luogo talvolta a risultati artisticamente interessanti, sebbene inseriti in un contesto di solennità ottocentesca a volte caricato di un gusto romantico un po’ pesante. Il manoscritto autografo, conservato nella Biblioteca del Conservatorio “G. Verdi” di Milano, è parso illuminante per comprendere la sua tecnica compositiva: la grafia è infatti rapida e nel complesso sicura, come uscita dalla penna di una compositrice che scrive di getto,  cui non manca certo l’ispirazione e che, anzi, si lascia prendere dalla spontaneità dell’invenzione. Le correzioni tuttavia sono numerosissime, e piuttosto rilevanti, a volte sono nuove stesure complete, con incollature di pagine l’una sull’altra a coprire le precedenti linee melodiche, spesso molto diverse originariamente. Non risulta che questa Messa abbia avuto successive esecuzioni e perciò un numero così elevato di cancellature tradisce, evidentemente, un’invenzione artistica che istintivamente crea d’impulso ma il cui prodotto non è perfetto ed anzi necessita di continue revisioni e rifacimenti. Ciò pare rispondere perfettamente  al carattere della compositrice: molto sicura di se ma solo in apparenza, meno perfetta di quanto vorrebbe far sembrare all’esterno, in realtà a volte un po’ improvvisata e il cui orgoglio denota ancora qualcosa di dilettantesco.
La produzione da camera risale per lo più al genere della salonmusik ottocentesca, cioè della musica di intrattenimento salottiero della borghesia che era solita riunirsi attorno al pianoforte per ascoltare e intonare melodie gradevoli, velate di sentimentalismo, di descrittivismo e non troppo impegnative: una sorta di musica di consumo, spesso di scarsa qualità ma non di rado di gradevolissima e squisita fattura, attorno alla quale ruotava un mondo editoriale particolarmente attivo. Il ciclo più importante di Carlotta Ferrari sono le citate Sei melodie pubblicate da Ricordi: costituiscono, si è detto, il debutto della Ferrari nel mondo musicale ottocentesco. La prima, Non t’accostar all’urna, era già stata messa in musica da Verdi, due di esse sono su testo proprio. In queste melodie l’aspetto più evidente è la predilezione per le linee melodiche dall’andamento dolente e malinconico, per le tonalità minori e gli andamenti ritmicamente moderati. Questo può spiegare l’appellativo di “Bellini in gonnella” che le era stato assegnato da un suo estimatore. Purtroppo, però, la vena troppo carica di lirismo talvolta scade di gusto scivolando nel patetico, a volte un po’ lacrimevole, sicché l’invenzione melodica perde in genuinità e gradevolezza.
Più interessanti ci sembrano alcune melodie singolarmente pubblicate da vari editori intorno agli anni ’90 del secolo che siamo riusciti a rintracciare nel corso di questo breve lavoro. A parte un inno scritto per il Teatro Carignano di Torino, edito da Giudici e Strada, e qualche poco significativo pezzo per pianoforte solo su soggetti di ispirazione patriottica, Carlotta Ferrari si dedicò infatti in quegli anni prevalentemente alla composizione di piccole liriche: sono componimenti brevi di modesto impegno compositivo per lo più su soggetto a sfondo amoroso ed apparvero anche all’interno di alcune pubblicazione periodiche (nell’ottocento erano molto diffusi i giornali letterari e culturali che contenevano anche musica) e rilevano un interessante cambiamento di stile. Talvolta infatti la melodia è più originale, l’armonia è più libera, più moderna, non esclude incontri armonici e cromatismi anche inconsueti, linee melodiche anche personali, segno interessante dunque, di un tentativo di aggiornarsi, di assimilare le esperienze dei suoi contemporanei e di rinnovarsi. Non manca dunque in Carlotta una certa validità dell’ispirazione artistica, che se nella sua produzione letteraria stentiamo a trovare, nelle sue musiche qua e là affiora e ci consegna oggi qualche piccolo momento ancora valido e piacevole.